Nonostante la ferocia del nemico e le difficoltà ambientali, i volontari dell'AFS in India e Birmania svolgono con coraggio e abnegazione il loro compito, senza rinunciare alla consueta ironia.
Conclusa la guerra in Africa nella primavera del 1943, gli Inglesi possono dedicarsi anche al fronte asiatico, nel tentativo di contrastare l'espansione del Giappone. Dal 7 dicembre 1941, data dell'attacco a Pearl Harbor, fino all'agosto del 1942, le truppe imperiali nipponiche si erano guadagnate la fama di invincibili, conquistando in una progressione inarrestabile l'Oceania, le indie orientali olandesi, la penisola di Malay e i centri vitali della Birmania (la capitale Rangoon e Mandalay), costringendo le truppe britanniche a umilianti ritirate per evitare la catastrofe. L'India stessa è in pericolo: il Giappone preparava l'invasione da nord est, con truppe provenienti dalla Cina meridionale e dalla Birmania.
Considerata la situazione del conflitto mondiale, nel dicembre del 1942 Stephen Galatti ha chiesto e ottenuto che i volontari dell'American Field Service assistano l'esercito inglese ovunque sia utile. Il 18 maggio 1943 la prima unità dell'AFS assegnata al servizio in India e Birmania arriva a Nuova Dehli: la comanda il maggiore Chauncey Ives, già attivo in Nord Africa.
Per acclimatarsi in India, i volontari dell'AFS sono assegnati al centro di addestramento inglese a Poona, sulle colline 115 miglia a sud est di Bombay. L'organizzazione del servizio - con unità di 25 ambulanze e 45-50 uomini ciascuna - ricorda ai volontari più anziani la struttura delle prime unità dell'AFS in Francia durante la Grande Guerra.
Le condizioni in cui i volontari dell'AFS si trovano a operare non hanno invece alcun parallelo possibile: il clima monsonico, il territorio per ampi tratti inesplorato comprendente montagne, jungla e steppa desertica, la fragilità delle vie di comunicazione e le innumerevoli malattie tropicali. Anche il nemico è diverso: astuto, sfuggente e crudele. Le notizie di quanto accaduto a Hong Kong nel dicembre del 1941, vere o false che fossero, giravano di bocca in bocca: ospedali saccheggiati, feriti trapassati con la baionetta, medici e infermiere torturati e uccisi.
L'acclimatamento a Poona dura 4 mesi: mesi di duro addestramento paramilitare certo, ma anche occasione imperdibile per conoscere una nuova civiltà. Finalmente, il 20 ottobre 1943, i primi volontari dell'American Field Service partono per il fronte orientale: la loro destinazione è la città di Imphal, situata nel nord est dell'India a soli 80 km dalla frontiera birmana, dove era acquartierata la XIV armata dell'esercito britannico.
Il viaggio, effettuato via terra in una zona del tutto pacifica, si rivela molto tortuoso. Da Poona a Imphal ci sono, in linea d'aria, poco più di 3.000 chilometri: una distanza che oggi si copre con sei ore di volo viene percorsa dai volontari dell'AFS in due mesi. Attraversato il continente indiano per raggiungere Calcutta, i volontari procedono su strade sempre meno percorribili verso nord fino a Siliguri e poi a est, fino al raggiungimento della loro destinazione finale. È l'inizio del 1944 e gli Inglesi stanno per passare all'offensiva.
Ben presto, gli ambulanzieri scoprono che in quei luoghi esotici persino la guerra può essere diversa. A causa del terreno impervio e delle tattiche nemiche si trattava soprattutto di scontri di fanteria: nessuno poteva dire con certezza quanto fosse grande la forza giapponese né dove si trovasse in un dato momento, né quando e dove sarebbe avvenuta la battaglia successiva
Il nemico aveva sviluppato una strategia di guerriglia nella jungla: gli scontri non erano frequenti, coinvolgevano pochi uomini ed erano di breve durata. I pericoli non mancavano: ma erano rappresentati dalle mine, dalle trappole e dalle malattie. Secondo le statistiche riportate da George Rock, ancora all'inizio del 1944 per ogni ferito gli ambulanzieri trasportavano almeno 20 malati. La prima causa di morte erano quindi le malattie tropicali: malaria e dissenteria, in particolare.
Le numerose testimonianze degli ambulanzieri impegnati su questo fronte sono concordi nell'individuare il problema principale nell'evacuazione dei feriti e nel loro trasporto nelle strutture sanitarie. Scrive Davis Spencer: «Quando sono alla guida, i ragazzi usano solo marce molto basse, per ore e ore. Nei punti peggiori la velocità media non supera il miglio orario. Nel tragitto consueto, con quattro pazienti seduti e feriti in modo non grave si percorrono 17 miglia in 9 ore; se ci sono feriti nelle barelle superiori e se questi sono in cattive condizioni possono essere necessarie fino a 12 ore».
Il servizio è estenuante, accompagnato dall'angoscia. Lungo la Tamu road e la Tiddim road, le strade che collegano l'India alla Birmania, ogni curva, ogni cespuglio, può nascondere un'insidia mortale. Inoltre, la particolare tattica di guerra giapponese mirava a tagliare fuori interi reparti nemici, rendendo impraticabili lunghi tratti di strada.
Anche di fronte a queste gravi difficoltà, gli ambulanzieri non perdono il loro proverbiale senso dell'umorismo. L'inquietante sigla NYD (Not yet diagnosed) con cui i medici classificavano le malattie non ancora identificate che colpivano gli occidentali e in modo particolare i nuovi arrivati, viene ben presto interpretata come New Yankee desease.
Una testimonianza anonima ricorda l'apertura del caffé El Malaria, a Imphal:
«Il Café El Malaria è finalmente aperto. Il locale, diretto da Latham, si sta rivelando un ottimo affare. Senza alcun dubbio si tratta dell'unico bar nel raggio di diverse centinaia di miglia. È dedicato specialmente ai volontari dell'AFS, ma l'entrata è permessa anche agli esterni. Il Caffé occupa l'intero stabile utilizzato in precedenza come ufficio - 50 piedi per 16, costruito con... muri di fango e un tetto di canne sorretto da pali. Il pavimento e uno dei muri all'interno sono ricoperti con stuoie di bambù. I tre muri restanti sono suddivisi in tre strati di pannelli. Le prime due file, in alto, sono dipinte di giallo e su di esse sono riprodotte le insegne di vari Night Club di New York: lo Stork Club, il Panther Room, il Class Hat e il Brown Derby. Le quattro finestre e la porta sono coperte con tende verdi. Nella stanza ci sono una serie di tavolini, ciascuno circondato da sedie. A una estremità della sala si trova il grammofono, su un tavolo coperto da un ampio assortimento di dischi. All'altra estremità c'è il bancone del bar, un lavoro fatto in casa, molto pukka (solido, in hurdu, N.d.R.), con tanto di appoggio per i piedi e tutto il resto, costruito con gran cura da Whiteside. Come barista, troneggia Latham».
Anche il festeggiamento del Natale riserva momenti spensierati. «Dopo colazione, un gruppo di ragazzi mi ha seguito per guardarmi mentre aprivo il vostro pacco natalizio», scrive Francis Mitchel Smith ai genitori «così, facendo grandi scene, l'ho aperto: tutti i ragazzi mi stavano attorno, con l'acquolina in bocca. Ho preso e tirato fuori le mie tute dell'AFS [dimenticate a casa nella confusione della partenza]. Il mio regalo per tutti è stata una bella risata».
Ironici e pieni di spirito anche nelle difficoltà, così immaginiamo questi giovani volontari. E così doveva certo apparire Neil Gilliam, veterano del Nord Africa. Lo si vede in una foto mentre, quasi incurante del deserto che lo circonda, se ne sta seduto, sorridente, a vezzeggiare un cagnolino, la sigaretta all'angolo della bocca.
«Un ufficiale medico aveva dichiarato che qualunque ferito ancora in vita trenta minuti dopo essere stato colpito, che poteva essere operato entro le due ore, era pressoché certo di sopravvivere. In altre parole, molte vite umane potevano essere salvate se i feriti venivano evacuati durante o immediatamente dopo la battaglia e ricevevano il più rapidamente possibile delle cure mediche. Questo è stato il principio ispiratore di Gilliam. Il bene che ha fatto è enorme. Da solo, Gilliam ha trasportato più di 250 feriti e, senza alcun dubbio, ha salvato personalmente decine e decine di vite. Numerosi feriti li ha recuperati lui stesso, caricandoli sulle barelle o portandoli a spalla. Gli altri ambulanzieri ne hanno trasportati altrettanti, in proporzione al numero dei loro giorni di sevizio. Gli ufficiali gurkah non sapevano come esprimere la loro gratitudine e hanno dichiarato che il morale dei loro uomini è molto migliorato dopo che hanno avuto la certezza che i feriti avrebbero ricevuto cure rapide ed efficaci. Verso la fine di maggio, i Gurkah hanno deciso di donare a Gilliam la spada di un ufficiale giapponese, trofeo di una recente azione... Alla fine del mese, la Jeep di Gilliam meritava di essere guardata: "una mezza dozzina di fori di proiettili", nota il capitano Marsh, "compreso quello lasciato dal proiettile sull'asse del volante nel momento in cui lui abbandonava il veicolo"».