Borsisti
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Le prime borse di studio furono erogate dall'AFS già al termine della Prima Guerra Mondiale, nell'ambito degli accordi bilaterali con la Francia, tesi a valorizzare gli scambi di studenti universitari.
borsisti È però nel secondo dopoguerra che Stephen Galatti, allora guida indiscussa e capo carismatico dell'AFS, ha l'intuizione decisiva: i borsisti non sarebbero più stati studenti universitari - troppo maturi e concentrati sulla loro professione - ma liceali, considerati più ricettivi e aperti al dialogo interculturale.
L'esperienza di un borsista che accetta di trascorrere un periodo all'estero con AFS e Intercultura è un esperienza unica, e per più di un aspetto memorabile. Per comprenderla più a fondo, proponiamo alcune esperienze esemplari.

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Prepararsi per un domani migliore

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, Ernst Taucher è uno dei primi borsisti tedeschi a sfruttare l'opportunità di trascorrere un anno di studio negli Stati Uniti nell'ambito dei programmi promossi dal Dipartimento di Stato americano, dall'AFS e altre associazioni religiose quali la Church of the Brethren, molto attiva sia negli Stati Uniti sia in Europa.

borsisti Preparation for Tomorrow. A German Boy's Year in America è il titolo di un opuscolo, pubblicato a cura del Dipartimento di Stato americano, che racconta la storia dell'anno trascorso da Ernst Taucher a Monticello (Indiana) negli Stati Uniti, ospite della famiglia Lantz.

Protagonista della storia è un sedicenne tedesco cui la guerra ha portato via tutto. Dal febbraio del 1945, quando l'esercito sovietico aveva invaso la Pomerania, i Taucher erano diventati profughi in patria. Il padre di famiglia, un agiato agricoltore borgomastro del piccolo villaggio di Palzwitz, era morto poche settimane dopo essere stato internato in un campo di concentramento sovietico. La madre Hanna si trovava in ospedale, gravemente ammalata di tifo; la sorella più grande, Christa, che all'epoca aveva 22 anni, riuscì miracolosamente a mettere in salvo le tre sorelle più piccole e a ritrovare Ernst, riparato insieme ad altri ragazzi, che frequentavano la sua stessa scuola, nel nord del paese.

borsisti Venuto a conoscenza dei programmi avviati negli Stati Uniti, Ernst, come molti altri suoi coetanei, fa domanda. È un ragazzo sano e robusto, orfano di guerra e ha le idee molto chiare sul suo futuro: fare l'agricoltore come i suoi avi. La sua domanda viene accolta.

«Il mio unico desiderio è diventare un agricoltore come i miei antenati. Per raggiungere questo obiettivo farò tesoro di ogni occasione di perfezionamento che mi si offrirà in questa provincia. So che se potrò sfruttare la grande opportunità di andare in America, il mio percorso sarà più facile. Tornato in Germania potrò frequentare la scuola superiore di agraria di Witzenhausen per diplomarmi».

Gli altri protagonisti di questa storia sono i Lantz, una coppia americana di mezza età, che vive a Monticello in Indiana: la famiglia che avrebbe accolto Ernst per un anno. I Lantz sono agricoltori e gestiscono una fattoria di 250 acri, in gran parte meccanizzata: la guerra li ha risparmiati, ma pochi anni prima avevano perduto il figlio tredicenne in un incidente. Il loro ragazzo ora li guarda di nuovo con gli occhi di Ernst.

La storia dell'anno trascorso da Ernst a Monticello è una storia semplice. I pranzi della domenica, preparati dalla signora Lantz, con carne, patate, pane caldo e burro a volontà. I risvegli nella camera - un'intera camera tutta per lui - ben esposta al sole. La scuola, la Industrial Arts Classroom, dove Ernst resta ogni giorno dalle 8 alle 18: perché la guerra gli ha già rubato troppo tempo.

Poi la biblioteca, così ricca di libri; le attività sportive svolte insieme ai ragazzi del posto. La nascita di nuove amicizie, l'iscrizione ai club della scuola; la gioia di cantare Stille Nacht in tedesco, mentre insieme si festeggia il Natale. L'incontro con la piccola comunità di Monticello e lo stupore di ricevere tanti doni, le domande sulla Germania, su come fosse organizzata la scuola... infine i lavori manuali nella fattoria, nei giorni di festa oppure dopo le ore di studio.

Per la mentalità odierna, questa storia può apparire stucchevole. Ma insegna che la vita semplice e l'autentico incontro fra le persone aiutano a lenire le ferite più gravi - come la perdita di un padre o quella di un figlio - per trovare la forza di sorridere al domani.

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Camminare e parlare insieme

Riflettendo a distanza di molti anni sul proprio soggiorno negli Stati Uniti, Helga von Hoffmann comprende il significato profondo e il valore assoluto della sua esperienza.

borsisti Helga von Hoffmann (1933-2005) è fra i giovani borsisti tedeschi che, con sentimenti di ansia e un forte senso di colpa, si apprestavano a partire per gli Stati Uniti, dove sarebbero stati ospitati per un anno, chiedendosi quale accoglienza avrebbero potuto ricevere. Correva l'anno 1950 e Helga aveva 17 anni. La sua testimonianza, resa al primo congresso mondiale di AFS nel 1971, restituisce bene il significato di quella esperienza, sul piano personale a umano:

«Quando ho fatto domanda per il programma di borse di studio dell'AFS, mi sembrava un miracolo; ero perfettamente consapevole del fatto che stavo andando in missione - una missione per dimostrare che la gente del mio paese non poteva essere identificata solo con i criminali di guerra. Non c'era nessuno a dirti quello che ti aspettava; nessuno poteva dirti come avresti potuto essere accolto in un paese che fino a pochi mesi fa era nemico. Portavo dentro di me il peso e il senso di colpa di essere tedesca.

Appena arrivata al porto di New York, George Edgell [responsabile per l'accoglienza degli studenti stranieri nello staff di Galatti, N.d.R.] salì a bordo dalla pilotina, salutandomi con un "Ciao, Helga"; poi, presso la sede dell'AFS, ci ha accolto il gruppo al completo: il Signor Galatti, la signora Field e Sachi Mizuki. [...]

Durante il tragitto verso il bus che mi avrebbe portato alla mia città natale americana, ho dovuto prendere un taxi. Il tassista mi ha parlato. Era stato un GI [ossia un soldato, N.d.R.] in Germania. Non ha voluto che pagassi la corsa: mi ha detto che era il suo modo di darmi il benvenuto nel suo paese. L'impossibile sembrava diventare possibile: e dal momento in cui mi trovai tra le braccia della mia nuova famiglia ho iniziato ad essere una persona e non solo un tedesco. La mia scuola mi ha accolto come una di loro, la questione della mia nazionalità era di interesse minore. [...]

borsisti Nel corso dell'anno, l'impossibile divenne possibile e alla fine del mio soggiorno, il Bus Trip lo ha dimostrato. Non avevo mai incontrato studenti francesi prima, o danesi, inglesi, italiani, greci, belgi o olandesi, e neppure studenti ebrei che avevano personalmente sofferto ciò che i miei connazionali avevano fatto a loro. Abbiamo parlato la stessa lingua, non solo l'inglese, ma soprattutto la lingua che ci era stata insegnata da generose famiglie ospitanti, la lingua dell'amore e della pazienza, della comprensione e delle risate.

Per me è sempre stato un evento significativo e simbolico che la mia prima figlia abbia iniziato a camminare con un paio di scarpe regalato a lei da un amico ebreo-francese dell'AFS. Mia figlia ha percorso un lungo cammino. È stata la prima della seconda generazione di AFS'ers a partire dalla Germania, ed è tornata questa estate dopo il soggiorno di un anno negli Stati Uniti. Con orgoglio indossava un dashiki cucito apposta per lei dalla sua amatissima madre americana. Posso dire che questo dashiki indossato da mia figlia è sinonimo di una nuova consapevolezza, di una nuova e più profonda riflessione e compassione per tutti e per ciascuno. Sono piena di gratitudine e di stupore. Ancora una volta il miracolo è avvenuto, l'impossibile è diventato possibile. Il miracolo di una vera e profonda comunicazione e di poter crescere gli uni vicino agli altri».

Secondo Helga von Hoffmann, che conclusa la sua esperienza di borsista ha continuato a collaborare con AFS come volontaria, il significato profondo della sua esperienza è stata l'opportunità di dimostrare a se stessa di essere una persona prima che una cittadina tedesca. Molto in anticipo sui tempi, gli ideatori del programma di scambi studenteschi hanno immaginato che il mondo diventerebbe un posto migliore, se tutti potessero considerarsi reciprocamente individui di un'unica comunità.

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La Cina, finalmente

Jacopo Lasala è uno dei primi ragazzi italiani a trascorrere un anno in Cina come borsista nell'ambito dei programmi di Intercultura. borsisti

Dopo anni di preparazione, nell'estate del 2002 Intercultura avvia i primi programmi di studio per studenti italiani in Cina: fra loro Jacopo Maria Lasala, originario di Latina, che ha accettato di raccontare la sua storia in Incontri che cambiano il mondo.

Appassionato di danza, in particolare di hip hop, Jacopo ha frequentato il quarto anno di liceo in Cina, in una scuola di Pechino. La ragione della sua scelta, spiega, è stata duplice: da una parte, il desiderio di confrontarsi con una realtà totalmente diversa da tutte quelle a lui note; dall'altra, poter frequentare due fra le scuole di ballo più prestigiose al mondo, l'Accademia Nazionale di danza e la Scuola dell'Opera di Pechino.

La famiglia cinese di Jacopo è una famiglia della media borghesia, che ha conosciuto una certa agiatezza solo nell'ultima generazione: il padre cinese è da poco diventato vicepreside nell'Istituto che ospita Jacopo; la madre lavora invece in una azienda agricola. Jacopo ha potuto osservare in prima persona i vantaggi del cambiamento di status della sua famiglia: dopo aver abitato in uno stabile fatiscente, si sono trasferiti in una casa nuova, e Jacopo ha potuto avere una stanza tutta per sé "molto più grande di quella che aveva a Latina".

borsisti L'incontro con i ragazzi cinesi è stato per Jacopo indimenticabile per le numerose amicizie e coronato anche da un amore, durato parecchio tempo nonostante la distanza e le difficoltà.

L'incontro con la cultura cinese, considerata sia dal punto di vista materiale (la cucina), sia dal punto di vista storico e sociale, è stato estremamente positivo: al punto da spingere Jacopo ad apprendere il cinese in modo sufficientemente fluido per poter comunicare a voce e per iscritto, e convincerlo a ritornare altre quattro volte, per ragione di svago o di studio.

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Quella volta che...: i borsisti di intercultura raccontano

borsisti La viva voce di alcuni borsisti testimonia esperienze interculturali indimenticabili per chi le ha vissute e interessanti per chi le ascolta

Creatività linguistica

«Dal punto di vista linguistico, la mia esperienza in Danimarca è stata molto difficile, all'inizio, per la mancanza di una lingua ponte comune. Il gioco dei mimi mi aiutò molte volte ma, ad essere sincero, era spesso frustrante perché risolveva il problema ma denunciava la mia incapacità linguistica. Per mia fortuna, una certa attitudine alla "creatività linguistica" mi aiutò a superare questo problema molte volte.
Una sera, in cucina, avevo bisogno di un cavatappi ma non avevo idea di come si dicesse cavatappi in danese. Così, con grande nonchalance, dissi a mio fratello Soeren che avevo bisogno di un "op-flaske- maschinen". borsisti Dissi così, "op-flaske- maschinen", e non saprei dire perché. Diciamo che mi sembrava verosimile: op indica su (come up in inglese); flask vuol dire bottiglia; maschinen vuol dire macchina: e cosa è un cavatappi, se non una macchina che serve per tirare su qualcosa dalle bottiglie...? Soeren mi guardò, scoppiò in una fragorosa risata e (naturalmente in danese) mi disse: "Gianni, si dice proptraekker però è incredibile... perché si capisce benissimo anche "op-flaske- maschinen"! E non è niente male!" e andò in cucina a prendere un cavatappi, continuando a ridere. Da quel giorno, la famiglia Keiding ha eliminato la parola proptraekker dal proprio vocabolario, sostituendola con la più efficace "op-flaske- maschinen". Il termine ebbe anche una certa diffusione fra i nostri amici e fui autorizzato ad usarlo per tutto l'anno di permanenza in Danimarca».
Gianni Giugnini, pubblicitario, un anno in Danimarca nel 1977

Una lezione di vita

«Nell'ora precedente mi trovavo nella mensa scolastica e un mio amico, forse apposta, forse per sbadataggine, lasciò in bella vista i risultati del test che lui aveva già effettuato. Tornai in classe contentissimo e, motivato da un grande spirito di squadra e abituato alla consuetudine che in Italia si copiasse, riscrissi in piccoli caratteri ma ben leggibili sul retro della lavagna la sequenza corretta di A, B, C e D previste dalle domande multiple choice. Due terzi dei compagni di classe, però, con mia grande sorpresa, non vollero vedere le soluzioni e mi ammonirono dicendo "you're cheating". Nessuno poi fece la spia, ma quell'A+ che avevo ottenuto mi lasciò un sapore cattivo in bocca. Fu un bell'insegnamento, che mi fece capire come tra un Paese e l'altro i valori e i comportamenti siano diversi. Ci penso ancora oggi quando penso come spesso noi italiani tendiamo a cercare la scorciatoia, a elogiare i furbi, con le conseguenze nefaste che stiamo vivendo oggi, partendo dalla piaga dei tanti che non pagano le tasse»
Marco Balich, dirigente, un anno negli USA nel 1979

Le contraddizioni di un paese in crescita

borsisti «Poi nel mio anno ho visto anche la Cina sviluppata, quella dell'economia che cresce veloce, piena di cantieri e case in costruzione; l'economia capitalista che si è sviluppata negli ultimi anni grazie ad incentivi statali e all'imprenditorialità degli stessi cinesi. Contrariamente a ciò che ci si aspetterebbe non sono tutti dei poveracci oberati di lavoro o costretti a rimestare nei pentoloni. Nasce e cresce la medio-borghesia cinese... e i loro figli. Quanta ansia devono sopportare i giovani cinesi! Durante l'anno i miei amici cinesi mi hanno raccontato delle pressioni dei genitori e io stessa, ascoltando gli adulti, ho capito. Perché bisogna essere vincenti, studiare, essere laureati, arrivare alla vetta della società. Studiare per i soldi: "Studiate! Così vi troverete un lavoro che vi farà diventare ricchi!" Questo ripetono genitori e insegnanti. E forse è per questo che i giovani nonostante abbiano tutto (o quasi), a volte si sentono un po' vuoti. La corsa al successo... E questo è il "comunismo con caratteristiche cinesi", come si legge sui libri di politica che studiano gli studenti cinesi. Il collettivismo e le idee di solidarietà sociale dell'antica tradizione cinese e del comunismo sono ancora in parte intatte e ben visibili. Ma bisogna vincere. La Cina ha 1 miliardo e 300 milioni di persone. Non tutti possono arrivare alla vetta...».
Arianna Gatta, studentessa, un anno in Cina nel 2006

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